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UniCa LGBT

17 maggio: IDAHOBIT


Il 17 maggio 1990, l’Organizzazione Mondiale della Sanità rimuove finalmente l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali. 14 anni dopo, il 17 maggio 2004, si celebra la prima Giornata Mondiale contro l’omobitransfobia, con la data scelta appositamente per ricordare la depatologizzazione dell’omosessualità.

Perché serve ancora celebrare questa giornata e utilizzarla per riflettere?

L’Italia è ancora molto indietro in materia di diritti LGBT: molte problematiche che la comunità è costretta ad affrontare sono dovute all’intersezione di disinformazione, mancanza di leggi a propria tutela (come, ad esempio, una sul reato di omobitransfobia) o a leggi inadeguate (ad esempio, la legge 164, per la modifica dei documenti post-transizione, o quella sulle unioni civili).

Inoltre, in questo periodo di lockdown le persone LGBT sono state soggette a ulteriori discriminazioni:

Molt* giovan* LGBT+ hanno dovuto passare più tempo con delle famiglie che l* discriminano;

Nelle famiglie omogenitoriali, spesso solo uno dei due genitori ha potuto ottenere il congedo parentale, in quanto l’altro non viene riconosciuto come genitore vero e proprio dalla legge;

Diverse visite endocrinologiche sono state sospese, e l’attivismo trans italiano si è dovuto muovere a riguardo per far sì che i già prescritti piani terapeutici e ricette specialistiche per la Terapia Ormonale Sostitutiva potessero rimanere validi per tutto il periodo di emergenza;

Con lo spostamento della vita sociale online, sono aumentati i casi di cyberbullismo a danni di persone LGBT+;

Le limitazioni aggiuntive hanno peggiorati i disagi dovuti alle mancanze del sistema giuridico e anagrafico:

Le persone trans* che non hanno ancora potuto cambiare il proprio sesso anagrafico sono state obbligate al coming out in caso di controlli durante gli spostamenti;

Nella fase 2, chi è in una relazione con una persona dello stesso sesso ha deciso spesso di non uscire nonostante le relazioni romantiche stabili fossero una motivazione legale e valida per spostarsi, per evitare di dover fare coming out alle forze dell’ordine in caso di controlli.

Tutto ciò si aggiunge alla lista delle problematiche irrisolte che affliggevano già la comunità prima del lockdown, e che continueranno ad affliggerci finché lo Stato non farà qualcosa a riguardo.

Come riportato dal Corriere tempo fa, l’Italia detiene il terribile primato di omicidi di persone transgender in Europa. Secondo un’indagine dell’ILGA, l’Italia è al 35° posto in Europa in materia di legislazione LGBT. Molti adolescenti vengono sbattuti fuori di casa dai genitori perché LGBT+. Molte persone faticano a trovare un lavoro per colpa della discriminazione omobitransfobica durante i colloqui. Tanti studenti vivono male la scuola, o addirittura finiscono per lasciarla, per via del bullismo omobitransfobico da parte di compagni e/o addirittura docenti.

Abbiamo bisogno urgente di una legge contro l’omobitransfobia, e di risorse nel territorio per tutelare le persone LGBT+ dalla violenza.

Abbiamo bisogno di una procedura più snella per la modifica dei documenti delle persone transgender, adeguandoci agli standard europei: dovrebbe essere sufficiente recarsi alla prefettura della città di residenza in seguito alla relazione di un endocrinologo, invece di dover passare per i tribunali.

Abbiamo bisogno di un’unione che sia pari al matrimonio eterosessuale e non un suo scimmiottamento, e di una legge sulle adozioni.

Abbiamo bisogno di un massiccio programma di informazione sulle identità LGBT, per tutte le fasce di età. Secondo una recente indagine, nella fascia 13-19 anni uno studente su 3 pensa che l’omosessualità sia sbagliata, il 10% che sia malattia o peccato, e Il 27% dei teenager non vorrebbe dividere il banco con un coetaneo o una compagna gay.

Abbiamo bisogno di operatori sanitari più attenti alle problematiche LGBT: molte persone transgender lamentano che gli psichiatri e gli endocrinologi che le seguono non le prendano sul serio e/o che si dimostrino non consapevoli delle problematiche che affrontano, finendo per perpetuare la ciseteronormatività (esempio: costringere una ragazza trans a vestirsi in modo considerato più “femminile” per riconoscere la sua identità di donna); altre persone LGBT ci hanno riportato che alcuni psichiatri collegano i disagi psicologici che potessero provare con il loro orientamento non eterosessuale. Questi avvenimenti denotano una lacuna nella formazione nel personale sociosanitario, che non deve assolutamente essere permessa.

Abbiamo bisogno che i farmaci per la Terapia Ormonale Sostitutiva siano accessibili con il SSN, e non in fascia C; abbiamo bisogno che l’AIFA aggiorni i foglietti illustrativi in modo tale che i farmaci ormonali siano prescrivibili per trattare l’incongruenza di genere, evitando di costringere i medici a prescriverli off-label; abbiamo bisogno di più ricerche sui farmaci utilizzati nella TOS, per evitare di prescrivere farmaci inadeguati o con effetti collaterali potenzialmente gravi.

Abbiamo bisogno che le “terapie” di conversione dell’orientamento sessuale vengano definitivamente condannate messe fuori legge, come è avvenuto recentemente in Germania e Albania.

Per questi e tanti altri motivi, noi di UniCa LGBT celebriamo la Giornata mondiale contro l’omobitransfobia e combattiamo in prima linea per la nostra comunità!

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